Cuddura, aceddu ccu l’ova, pupu ccu l’ova, palummedda, panaredda, ciciuliu… no, non stiamo farneticando! Quello che hai appena letto è solo l’elenco infinito dei nomi con cui nelle diverse zone della Sicilia si è soliti indicare un antico dolce della tradizione pasquale.
Farina 00, semola rimacinata, zucchero e strutto per un “biscottone” di deliziosa pasta frolla, decorato con uova sode (comprese di guscio!).
Un tempo, a pochi giorni dalla Santa Pasqua, le donne di intere generazioni si riunivano per la preparazione di quello che fino a pochi decenni fa era un vero e proprio rito di famiglia. La nonna, di norma, era colei che “dettava le leggi” e assegnava i vari “compiti”: c’era chi impastava, chi dava forma all’impasto (colomba, cestino, treccia, ghirlanda, solo per fare qualche esempio…) e chi bolliva le uova. Ai bambini invece veniva affidata la decorazione finale. E così i più piccoli si divertivano a cospargere i biscotti con coloratissime codette di zucchero. E poi, via in forno per la cottura!
All’epoca, la cuddura era il dono che ci si scambiava la domenica di Pasqua. Non esistevano ancora le uova di cioccolato! Il numero delle uova sode inserite nel biscotto dipendeva dal “ruolo” che la persona aveva per chi lo donava: più era alto il numero di uova, più la persona in questione era ritenuta importante. La suocera spesso doveva accontentarsi di un solo uovo…
Oggi purtroppo quest’abitudine non è più molto viva ma, soprattutto nei piccoli paesi siciliani, c’è ancora qualche nonna che porta avanti la tradizione.