Incantevole borgo marinaro, Acitrezza è stata, da sempre, una terra al centro di miti e leggende.
Il mito. Con un nome che prende spunto dal mitico fiume Aci che, secondo la leggenda passava in modo abbondante ed impetuoso da quelle parti, Acitrezza sarebbe anche la protagonista del canto IX dell’Odissea. Secondo il racconto del poeta greco Omero, infatti, i faraglioni, gli otto scogli che si ergono di fronte alla costa di Acitrezza, sarebbero le pietre lanciate da Polifemo ad Ulisse, durante la fuga di quest’ultimo che aveva accecato il ciclope. Da qui anche il nome di Isole dei Ciclopi per i faraglioni e di Riviera dei Ciclopi per il golfo antistante.
Ad Acitrezza sembra sia ambientato anche il canto III dell’Eneide di Virgilio, che narra l’incontro tra il troiano Enea e il greco Achemenide, ex compagno di Ulisse, dimenticato dai compagni nella terra dei Ciclopi durante la fuga narrata dall’Odissea.
La letteratura e il cinema. Fondato alla fine del Seicento dal nobile palermitano Stefano Riggio che ne volle fare un importante scalo portuale, il borgo marinaro di Acitrezza è stato scelto dallo scrittore Giovanni Verga come ambientazione per una delle sue opere più importanti, “I malavoglia”, caposaldo del verismo e parte del suo “Ciclo dei vinti”. I protagonisti dell’opera sono dei pescatori trezzoti appartenenti alla famiglia Toscano, ma è lo stesso paese di Acitrezza ad essere al centro dell’opera. La cittadina è stata anche il set del film di Luchino Visconti “La terra trema”, capolavoro del neorealismo italiano e libero adattamento del capolavoro verghiano.
Il Grand Tour. Acitrezza fu anche meta del viaggio di Johann Wolfgang von Goethe, che visitò le isole dei Ciclopi per il loro interesse geologico, e dell’artista Jean-Pierre Houël che vi soggiornò più volte, dipingendola e raccontandone nei volumi del Voyage pittoresque des isles de Sicilie, de Malta et de Lipari. Anche il ricercatore Lazzaro Spallanzani visitò Acitrezza e le isole dei Ciclopi per studiarne la composizione.
Il Palazzo del Principe. Fu don Luigi Riggio a dar l’ordine di costruire un’imponente struttura residenziale che si affacciava sul mare. Si trattava di un palazzo, particolarmente ricco, che andava protetto dalle continue invasioni turche. All’interno vi erano delle sale ricche di decorazioni, sia alle pareti che ai soffitti, illuminate dalla luce e accompagnate dal rumore delle onde del mare. Con la fine della dinastia dei Riggio, dopo il XVIII secolo, il palazzo passò a Giuseppe Castorina e poi alla famiglia Grasso, commercianti di grano. Col tempo l’edificio subì dei rimaneggiamenti, per poi essere lasciato alle incurie degli eredi ed alla violenza delle intemperie, che lo danneggiarono definitivamente fino allo smembramento.
Con l’abolizione del feudalesimo, a metà Ottocento, il Principato di Riggio decadde e Acitrezza celebrò la sua indipendenza da Ficarazzi e Aci Sant’Antonio, legandosi ad Aci Castello, di cui oggi è frazione. La fastosa residenza nobiliare rimase in piedi fino agli anni ‘20 del Novecento, poi il terreno su cui sorgeva venne diviso in lotti e vennero costruiti nuovi edifici. Oggi del palazzo non rimane più traccia, se non nelle documentazioni, negli archivi o nei ricordi degli anziani di Aci.
La patria della granita. La cucina della città è legata indubbiamente al mare e alla tradizione peschereccia, con le acciughe, il tonno rosso e le sarde a beccafico come parte integrante della consuetudine gastronomica. Ma ad Acitrezza la tradizione attribuisce anche la paternità dell’invenzione del gelato e delle granite, che sarebbero state un’idea del cuoco Francesco Procopio Coltelli.